Voci di San Donato
Percorsi nella memoria del quartiere
Questa mappa ci porta a passeggio per il quartiere S. Donato, accompagnati dalle narrazioni dei suoi abitanti. Camminando per le strade del quartiere colpiscono le tracce delle stratificazioni e la pluralità di rimandi alle diverse forme di organizzazione dello spazio urbano e abitativo. I caratteri peculiari del paesaggio urbano di S. Donato sono conseguenza innanzitutto delle nuove parti di città, costruite nel corso del ‘900 tramite gli interventi di edilizia pubblica, formate non solo da alloggi, ma anche da attrezzature collettive e spazi aperti, le une e gli altri ancora oggi chiaramente riconoscibili. Le persistenze e i mutamenti si compenetrano: in queste aree, oltre alla pluralità di spazi e servizi comuni, si nota l’assenza di barriere e fratture tra strada carrabile e cortili alberati dei caseggiati, spesso attraversati da strade di passaggio che consentono di seguire percorsi solo pedonali. A queste peculiarità di più vecchia data si affiancano quelle trasformazioni che hanno interessato alcune zone della città contemporanea, sedi, nella seconda metà del ‘900, di industrie e attività manifatturiere. Questi mutamenti, nel quartiere, consistono nella costruzione di nuovi complessi residenziali su spazi in cui, fino agli anni ‘80 e ’90, trovavano sede numerosi maglifici e nella trasformazione di vecchie officine in appartamenti che, avendo mantenuto la struttura originaria, rivelano un tessuto in cui i luoghi di lavoro erano fortemente compenetrati a quelli delle abitazioni.
Da queste sollecitazioni è nato il desiderio di farmi raccontare dagli abitanti frammenti di biografia del quartiere S. Donato, i percorsi che essi hanno scelto di intraprendervi e come abbiano interpretato il rapporto con le forme architettoniche, gli spazi comuni, lo spazio fisico del quartiere.
Le voci che sentiremo appartengono a due generazioni: quella dei giovani che vi si trasferiscono durante la grande espansione edilizia e abitativa del decennio ‘51-’61 e quella, in senso anagrafico, dei loro figli. Le narrazioni cominciano spesso con l’espressione “qui non c’era niente” conducendoci lungo lo spostamento dei confini città – campagna e permettendoci di immaginare una storia raccontata dalle origini. Ciò accomuna sia la prima sia la seconda generazione, perché gli informatori che appartengono a quest’ultima vivono anch’essi lo spostamento di questi confini e, come quelli della prima, giocano nei cantieri della città che si espande, appropriandosi dei suoi nuovi luoghi.
Collocare le voci degli abitanti nel corpo vivo di una mappa permette di mostrare l’intreccio virtuoso tra le forme della città e il corpo sociale che la abita: la compenetrazione tra le diverse sfere emerge dalla transitività delle attività che risultano, cioè, affiancate e sovrapposte negli stessi luoghi e sono legate ad un tempo al gioco, al lavoro, alle relazioni tra donne. Da questo intreccio nascono le storie che alcuni uomini e alcune donne ci raccontano, con sapienza ed entusiasmo.
Alessia Scenna